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24 Agosto 2018

L'Avv. Renato Musella e Rita Musella riscrivono l'interruzione del nesso causale nel concorso esterno di cause - Tribunale Penale di Sondrio: https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/18/sondrio-scontro-tra-camion-e-treno-due-morti-sulla-statale/50382

Sembrava una mattina come le altre, quel 18 Febbraio 2013, sulla strada statale dello Stelvio, ma qualcosa andò storto.

Un camion uscito di strada a seguito di un banale incidente stradale era finito sui binari ed era stato travolto da un treno che ne aveva scagliato i rottami lontano, uccidendo due persone: il conducente del mezzo pesante, che era riuscito a scendere dal tir tornando sulla 38, quella dello Stelvio, e un automobilista che si era fermato sul ciglio della strada a guardare l'incidente.

Quando era sopraggiunto il treno i rottami, scagliati fin sulla carreggiata della strada, che in quel tratto corre parallela alla linea ferroviaria, li aveva investiti. Ai due morti si aggiungevano quattro feriti.

Del caso si erano occupate le principali testate giornalistiche italiane ed i media.

Sul banco degli imputati erano finiti il macchinista del treno, i dirigenti dell'Anas ed un medico anestesista, accusato di aver causato il sinistro, assistito dagli Avv. Renato Musella e Rita Musella di Mk&Partners i quali, subentrati alla precedente difesa, hanno totalmente mutato la strategia puntando diretti all'assoluzione del proprio assistito, imputato dei reati di cui agli artt. 41, 113, 589 c. 1, 2 e 4 c.p. perché, anche in cooperazione con gli altri coimputati, con concorso di cause colpose indipendenti tra loro, per colpa, imprudenza, negligenza ed imperizia ed in violazione delle norme del codice della strada cagionava la morte di XXXXXX e XXXXXX nonché lesioni personali a XXXXX, XXXXXX, XXXXX e XXXXXX.

Il capo di imputazione si imperniava esclusivamente su una forzata interpretazione del disposto combinato di cui agli artt. 41 e 113 del codice penale in forza del quale era stata – da parte della Prucura - individuata una responsabilità del nostro assistito nella causazione della morte di due persone e del ferimento di altre quattro.

L’accusa ha dato per certa la colpa del Monauni nella causazione del primo sinistro poiché secondo la Perizia Bardazza l’imputato avrebbe violato una norma cautelare, non adeguando la velocità alle condizioni della strada.

Al di là degli aspetti tecnici circa l'attribuzione delle responsabilità nella causazione del sinistro, esposte dall'Avv. Giorgia Franco, nell'arringa gli Avv.ti Renato e Rita Musella hanno invece affrontato l’erroneità della applicazione al caso di specie dell’art. 41 c.p. cavalcata dall'accusa.

La difesa dell'imputato evidenziava come sostenere la responsabilità dell'imputato per le morti e le lesioni sulla base del fatto che avesse causato il sinistro (il che non era) fosse un vero assurdo, visto che il sinistro era stato alquanto banale, tant'è che da questo incidente uscirono tutti illesi.

Con la causazione del sinistro si era concluso il primo scenario e qui si esaurivano tutte le eventuali responsabilità dell'imputato.

Dalla presunta violazione della norma cautelare del Codice della Strada posta in essere dunque non era derivato né l’evento morte né l’evento lesioni.

Sul punto si richiamava la copiosa giurisprudenza di Cassazione secondo la quale in materia di incidenti da circolazione stradale e anche nelle specifiche ipotesi in cui sia contestato un omicidio colposo l’accertata sussistenza di una condotta antigiuridica di uno degli utenti della strada con violazione di specifiche norme di legge o di precetti di comune prudenza non può di per sé far presumere l’esistenza della causalità tra il suo comportamento e l’evento dannoso.

Quest’ultimo infatti va sempre provato e non semplicemente presupposto e si deve escludere quando sia dimostrato che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato senza quella condotta o, come nel caso di specie, è stato comunque determinato da una causa diversa e fra un istante vedremo perché e quali sono state le cause diverse.

Come noto, il principio della condicio sine qua ritenuto applicabile dall’accusa nella fattispecie che ci occupa, ovvero il principio secondo cui qualunque comportamento che ha influito sul verificarsi dell’evento ne costituisce causa indipendentemente dal concorso di altre circostanze è temperato dalla previsione del secondo comma dell’art. 41 c.p. a norma del quale le causa sopravvenute escludono il nesso di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. Tutto ciò si iscrive nell’assodato indirizzo giurisprudenziale che ritiene integrato il nesso di causalità ex artt. 40 e 41 del c.p. nell’omicidio colposo solo quando la causa principale dell’evento morte sia da ravvisarsi nel comportamento negligente o imprudente del soggetto agente.

Del resto si evidenziava come sarebbe stato assolutamente iniquo punire chi abbia fornito soltanto uno spunto ad una libera e consapevole auto-esposizione della vittima al pericolo.

Veniva opportunamente evidenziato al Tribunale come fortunatamente esista un principio di auto-responsabilità che impedisce l’imputazione dell’evento a chi con l’evento centra solo superficialmente.

Consci del fatto che in morte nihil sine bene, è stato davvero doloroso per questa difesa parlare di responsabilità relativamente a persone che non ci sono più, ma con tutto il rispetto per le vittime ed i loro parenti, doveva essere assicurata al Giudice una sana e veritiera ricostruzione dei fatti.

Diversamente il nostro assistito avrebbe rischiato di pagare per scelte e valutazioni liberamente ed arbitrariamente compiute dalle vittime che hanno violato elementari norme di condotta ed auto-conservazione. Nessuno deve pagare per errori e colpe che non sono sue.

Passiamo dunque ai fatti: esaurito come sopra anticipato il primo scenario di sinistro in cui nessuno si fa male trascorrono quattro minuti come si legge nella stessa perizia del pubblico ministero, ove testualmente si afferma che “…..e si avverte di nuovo uno schianto questa volta però più forte del primo. Questo è il vero incidente di quel giorno, il primo è stato soltanto un semplice tamponamento. In questi 4 minuti però succedono delle cose, vengono fatte delle scelte”.

Sulla perizia degli esperti della Procura si leggeva testualmente che “l’investimento individuato dalla scomparsa del valore della velocità presentata al PdMè avvenuto il 18/02/2013 alle ore 6.54:21 secondi”. L'operatore in servizio nella sala operativa al momento del sinistro ci dice che: “Alle 6.55 ricevo una chiamata dal 118 e mi ricordo – riferendosi al macchinista - che mi ha detto l’ho preso”.

Aggiunge l'operatore di aver chiamato immediatamente il macchinista per avvisarlo di fermarsi ma ormai era troppo tardi.

Veniva illustrato al Tribunale Penale come come in quei 4 minuti tra il primo sinistro ed il secondo i soggetti coinvolti avrebbero potuto cambiare le sorti del loro destino, attuando delle elementari norme comportamentali.

Ad esempio veniva evidenziato come l'autotrasportatore ucciso era sceso dal Tir e mentre era al telefono faceva cenno all’imputato di stare bene, effettuava un giro intorno al mezzo e faceva una telefonata, ma non alla Polizia, come sarebbe stato ovvio attendersi, ma ad un suo Collega, che ha deposto in data 6/03/2017 e che ha riferito le seguenti parole: “mi dice che lui ha avuto un incidente omissis ha dovuto sterzare a sinistra e andare a finire sulla massicciata ferroviaria. Omissis il camion è tutto distrutto davanti perché sono andato contro il guardrail e sono salito sulla massicciata .... io gli ho detto: “avete avvertito la Polizia o qualcuno? Perché se sei sulla massicciata della ferrovia – gli ho detto – ci sono dei treni – non lo so era la prima cosa che mi era venuta in mente a quell’orario lì, era da venti minuti che ero sveglio”.

Se l'autotrasportatore avesse chiamato il 112 ed avesse detto agli operatori le medesime cose che disse al collega sarebbe ancora vivo. Invece, egli pur essendo reattivo, vigile e senza neppure un graffio, in grado di discernere ciò che era giusto da ciò che non lo era, in quei quattro minuti compie le sue consapevoli scelte.

In primo luogo sceglie di contattare il Collega di lavoro anziché le Forze dell’Ordine, come invece si fa solitamente per segnalare l’incidente soprattutto se il proprio mezzo è finito sulla massicciata ferroviaria. Dalla telefonata al Collega si evince chiaramente come lo stesso si fosse ben avveduto di tale importassimo e drammatico evento!!! Ma nulla ha fatto per modificare o almeno tentare di modificare l’ordine delle cose.

Dunque questo dimostra però che verosimilmente in quattro minuti ci sarebbero stati i tempi tecnici avvisare il macchinista e far sì che lo stesso effettuasse la frenata anticipatamente evitando così l’impatto con il camion o riducendo i danni.

Se dunque il guidatore del Tir alle 6:50 orario riportato dal Collega che durante l’esame afferma: “quando lui mi ha chiamato io ero a casa erano le 6:50 di mattina mi ricordo benissimo” , avesse contattato la Polfer, o il 118 anziché il Collega, il tragico evento si sarebbe evitato.

In secondo luogo l'autotrasportatore aveva scelto di non spostarsi dall’automezzo, cosa avrebbe dovuto fare essendo questo sui binari. Ebbene sì, l'autista del Tir si doveva allontanare dallo stesso anzichè sostare nella parte più pericolosa, ovvero nella parte anteriore sinistra estraniandosi completamente da ciò che poteva accadere.

E dunque, con riferimento all'autista, veniva fatta al Tribunale la seguente domanda: che cosa ha causato la morte del XXXXXXXX? Il tamponamento dell'imputato ovvero la collisione tra il treno e la cabina dell’autoarticolato che ha provocato una rototraslazione del camion che ha spazzato via tutto ciò che si trovava davanti?

Lo stesso è successo a tutti gli altri soggetti coinvolti nel sinistro, uno dei quali deceduto. Tutti questi soggetti non erano neppure minimamente coinvolti nel sinistro e non avevano neppure un coinvolgimento emotivo nei fatti.

Pertanto, quando sono scesi dalla propria auto per avvicinarsi all’autocarro e collocarsi proprio nella parte posteriore sinistra dello stesso hanno effettuato la loro scelta, e di questa non poteva certo rispondere l'imputato.

Tutti i “passanti” curiosi e l'autista del Tir hanno violato le più elementari norme della sicurezza stradale, fermandosi senza ragione alcuna ed intralciando la circolazione.

Eppure non c’erano feriti da soccorrere, posto che neppure avevano le competenze per farlo.

La loro presenza non era richiesta né necessaria e non si vedeva proprio come l'imputato potesse essere chiamato a rispondere della morte e delle lesioni sofferte da soggetti neppure coinvolti nel sinistro.

Uno dei feriti (fratello di una delle vittime) dichiarava alla Polizia il 18/02/2013: “sulla corsia alla mia sinistra erano ferme le autovetture che precedentemente si erano urtate e pertanto arrestavo la mia auto a debita distanza dall’autocarro; sia io che XXXXX scendevamo dal veicolo e ci dirigevamo verso la parte laterale sinistra del semirimorchio.” La prima osservazione che sorge spontanea e che veniva trasposta al Tribunale era: ma perché questi soggetti si sono fermati?

Ciò detto un’autonoma responsabilità nel tragico evento deve individuarsi nella condotta del macchinista. Nella perizia tecnica della procura si leggeva a chiare lettere: “…il macchinista azionò il freno con una frenata di emergenza circa 150 m prima del punto dove il mezzo stradale aveva invaso la sede ferroviaria mentre lo spazio di arresto congruo era di circa 300 m. ovviamente la mancata tempestiva frenatura è stata la causa esclusiva dell’esito dell’investimento del mezzo stradale anche nella sua gravità. La lettura della crash memory del DIS di testa certifica che l’urto è avvenuto mentre il treno correva a 56 km/h. Si consideri anche che una frenatura leggermente anticipata anche se non in grado di evitare lo scontro avrebbe potuto determinare un esito di minore gravità. La visibilità data l’ora e le condizioni ambientali non era sicuramente eccellente ma consentiva comunque di avvertire tempestivamente la presenza dell’stacolo come dimostrato da una corsa prova opportunamente predisposta dalla Plfer Lombardia…. In estrema sintesi si conclude che il sistema frenante fu impiegato in maniera corretta ma che l’azionamento del freno non avvenne con la tempestività necessaria ad evitare l’incidente”.

Il Giudice di legittimità enuncia il principio secondo cui non sussiste il nesso causale tra la condotta dell’agente e l’evento mortale se la condotta della persona offesa si presente del tutto eccezionale ed imprevedibile indipendente dal fatto del reo e si inserisce in una serie causale come fattore determinante ed autonomo dell’evento. E’ quindi evidente che per giurisprudenza costante l’indagine circa la sussistenza del nesso eziologico deve avere mira il rapporto fra varie cause al fine di accertare se quelle prossime siano fattori eccezionali, imprevedibili ed atipici del tutto avulsi dalla serie causale precedente ovvero ne costituiscano solo lo sviluppo naturale.

Ancora la giurisprudenza dominante ha precisato che in tema di rapporto di causalità la causa da sola sufficiente a determinare l’evento è quella che non soltanto appartiene ad una serie causale completamente autonoma rispetto a quella posta in essere con la condotta dell’agente ma anche quella che pur inserendosi nella serie causale dipendente dalla condotta dell’agente opera per esclusiva forza propria nella determinazione dell’evento sicchè la condotta dell’agente pur costituendo un precedente necessario per l’efficacia della causa sopravvenuta assume rispetto all’evento stesso non un ruolo di fattore causale ma di semplice occasione.

Questa difesa ritiene che l’autodeterminazione di terzi, l’ammaloramento delle barriere di sicurezza nonché la condotta colposa del macchinista del treno possano ritenersi un fattore del tutto imprevedibile ed atipico e certamente avulso dalla serie causale precedente.

Il Tribunale di Sondrio faceva proprie le argomentazioni dell'arringa ed assolveva l'imputato.




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